Nella fase più acuta del virus, i dati del Cts hanno portato a divieti e alla divisione in fasce. Oggi, per qualcuno sono poco attendibili
Ricordate l’appuntamento con la conferenza stampa delle ore 18, quando i rappresentanti del Comitato Tecnico Scientifico snocciolavano con tranquillità i numeri della pandemia, elencando decessi, ricoveri e terapie intensive con morbosa attenzione? Bene, da quell’appuntamento che (durante il primo lockdown) era diventato quasi una normale conseguenza di una situazione di grande difficoltà, si è passati ad un semplice comunicato stampa giornaliero. Ogni pomeriggio viene aggiornato il dato dei tamponi effettuati nel corso delle ultime 24 ore, annunciando chi si è ammalato, chi è guarito e la situazione regione per regione.
Ma intorno a questi dati c’è sempre stato un alone di scetticismo. Molti li hanno accompagnati a dubbi poca chiarezza. Quanto sono veritieri? Rispecchiano realmente la situazione? Ci si può fidare del famoso indice Rt o dei tassi di positività? Domande che nel giro di questi anni abbiamo ascoltato nelle varie trasmissioni televisive e che hanno diviso l’opinione pubblica. Qualcuno non ha mai voluto credere a certi dati. Una persona che durante la sua positività esegue più di un tampone, quante volte viene considerata positiva? E allo stesso tempo, chi esegue un test fai da te e non ripete il tampone in farmacia o in un centro autorizzato, farà mai parte dell’elenco delle persone considerate positive?
I dubbi ci sono sempre stati, ma è per lo meno bizzarro verificare che, molti virologi o esponenti di quel mondo scientifico che da più di due anni imperversano nelle nostre vite, si pongano il problema solo ora. Quando i dati sembrano lasciare intendere che la morsa del virus sia in fase decadente. Massimo Andreoni primario di infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), lancia il sasso: “È evidente che ci sono migliaia di casi Covid sommersi, non diagnosticati e che non sono registrati nel bollettino quotidiano ufficiale. C’è una circolazione molto più ampia rispetto al report” ha scritto il medico: “Non credo sia un problema solo italiano ma anche di altri Paesi. È probabile che dietro questo fenomeno ci sia una stanchezza generale rispetto alla pandemia e la percezione dell’inutilità, oggi, di una diagnosi certa, e poi anche la diffusione dei test di autodiagnosi. È passato il messaggio che il Sars-CoV-2 è diventata una influenza e quindi non serve verificare se si è positivi o meno”. Sulla stessa linea anche Massimo Galli, che su Twitter scrive: “Da noi i casi reali che non vengono contati sono moltissimi, troppi”.
Dubbi più che legittimi, e che non fanno altro che aumentare le domande di chi, da almeno due anni, non si fida delle percentuali e dei numeri degli esperti. Ma perchè alimentarli solo ora che lo stato d’emergenza è ufficialmente finito? Perchè durante la fase più acuta del virus, su quei dati ci si è addirittura basati per stabilire le fasce (rosse, arancioni, gialle) e i divieti, mentre oggi ci si chiede se siano veri?