La Chiesa cattolica oggi celebra l’entrata di due nuovi beati. Si tratta di Armida Barelli e don Mario Ciceri, proclamati con la solenne messa nel Duomo di Milano.
Entrambi provengono infatti dalla realtà della Chiesa ambrosiana. La prima, Armida Barelli, cofondatrice dell’Università Cattolica, e il secondo, don Mario Ciceri, il “don” dell’oratorio di Sulbiate.
La celebrazione nel Duomo di Milano
Ad assistere alla celebrazione 1800 persone, sedute nelle navate del Duomo, che hanno accolto il termine della funzione con un lungo e sentito applauso al termine della lettura della formula di beatificazione, pronunciata dal cardinale Marcello Semeraro. Dopodiché, lo svelamento delle effigi dei due beati, e le due due processioni, dei famigliari e dei postulatori, che hanno accompagnato fin sull’altare le reliquie dei beati.
Tra le prime file, i familiari dei nuovi beati, tra cui il pronipote Paolo Barelli, presidente della Fin, Federazione Italiana Nuoto, e anche Raffaella Di Grigoli, la donna che all’età di sette anni guarì da una gravissima malattia al colon per l’accertata intercessione di don Ciceri. Oltre a loro, diversi politici e autorità, tra cui Rosy Bindi, il rettore della Cattolica Franco Anelli, i vertici dell’Azione Cattolica. E poi figure del mondo accademico, decine di cardinali e vescovi, delegazioni internazionali di congregazioni missionarie.
Chi era Armida Barelli, che formò nella sua vita migliaia di donne
Armida Barelli nacque nel 1882 e morì nel 1952. Fu fondatrice della Gioventù Femminile dell’Azione Cattolica e cofondatrice dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dell’Istituto secolare delle Missionarie della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo e anche dell’Opera della Regalità per la liturgia. Contribuì a formare migliaia di giovani donne, insegnando loro con l’esempio ad amare Dio, il prossimo e la Chiesa, e da lì a spendersi in maniera attiva all’interno della società per il bene di tutti.
Il cardinale Semeraro, durante l’omelia, citando l’allora monsignor Montini l’ha ricordata come una donna che ha lasciato “un’eredità che veramente arricchisce le file della vita cattolica e segnato la via per l’educazione moderna della gioventù femminile”. Oltre che protagonista di un apostolato che “spaziò su più fronti, dall’Opera della Regalità all’Università Cattolica del Sacro Cuore”. In cui diede enorme contributo alla promozione di “un cattolicesimo inclusivo, accogliente e universale”. “Siamo una forza, in Italia, noi donne”, era una delle frasi che amava pronunciare Armida.
Don Mario Ciceri, il “Curato d’Ars” della comunità di Sulbiate
Mario Ciceri nacque nel 1900 in Brianza, deceduto nel 1945, visse tutto il suo ministero nella parrocchia di Brentana di Sulbiate, dove lo ricordano come il “Curato d’Ars” della comunità di Sulbiate. Spese tutta la sua vita a servizio dell’oratorio, dei malati, degli sfollati di guerra e delle attività dell’Azione Cattolica. Nel corso della Seconda Guerra mondiale accompagnò i ricercati verso la Svizzera, a cui fornì documenti e lasciapassare falsi, azioni che lo portarono a ricevere alla memoria la medaglia d’oro per la Resistenza.
“Don Mario Ciceri s’impegnò quotidianamente a smussare alcune spigolosità caratteriali giungendo a mostrare in sé un efficace connubio tra vita spirituale e vita pastorale al punto che tutti riconobbero in lui un sacerdote che realizzava con zelo e in fedeltà la sua vocazione”, ha spiegato durante la Messa il cardinale Semeraro, che parlando di lui come di un “esempio luminoso per i sacerdoti” lo ha definito “sandalo della Chiesa” perché “utile per aiutare, utile per obbedire”. Una frase che don Mario ripeteva spesso era: “Il bene fa poco rumore e il rumore fa poco bene”.
Il commento del vescovo Delpini e del cardinale Semeraro
Storie di santità in cui, “umili e nascoste come quella del beato Mario Ciceri, oppure pubbliche e note come quella della beata Armida Barelli”, ha concluso Semeraro, “si manifesta sempre la forza dello Spirito, che il Risorto possiede senza misura”
“Che cosa potrebbe fare una ragazza di buona famiglia, che ha studiato all’estero, che ha una bella casa di villeggiatura sulle colline del Varesotto, che vive in un contesto in cui è bene che le ragazze stiano chiuse in casa, in una società in cui si pretende che i cattolici stiano in sagrestia, in un contesto in cui essere cristiani significa essere ottusi e irrilevanti per la cultura contemporanea?”, è la domanda finale provocatoria dell’arcivescovo di Milano, Mons. Mario Delpini.
“Ecco, per esempio, potrebbe diventare santa”, ha continuato Delpini. “E che cosa potrebbe fare un ragazzo di famiglia numerosa e modesta, che vive in un paese della Brianza, bellissimo ma sconosciuto ai più, un ragazzo senza doti particolari, con un cognome comune e un nome insignificante? Ecco, per esempio, potrebbe diventare un santo, un prete santo”.