A cinque anni dal referendum, a due anni dall’effettiva uscita del Regno Unito dalla UE, restano tante incognite su questa storica decisione
A pochi giorni dal secondo anniversario della Brexit resta un confronto aperto quello tra Regno Unito e Unione Europea su tante questioni che hanno portato alla scissione dei due blocchi. Una di queste, forse la più importante, riguarda il commercio di beni tra le due sponde della Manica, che per il secondo anno ha subìto un netto calo rispetto a quando ancora l’UK faceva parte del mercato unico europeo.
Ora che i passaggi burocratici sono quasi arrivati alla fine, possiamo cominciare a tracciare un bilancio su chi ci ha davvero guadagnato da questo clamoroso divorzio anche se forse dovremmo cominciare a dire chi ci ha rimesso di più! I paesi Ue hanno iniziato ad applicare tutti i requisiti doganali e i controlli sulle esportazioni all’inizio del 2021, mentre Londra ha rimandato l’introduzione dei requisiti sulle importazioni dall’Ue fino all’inizio del 2022, per l’attuazione completa dei controlli.
Molte luci ed ombre sul dopo Brexit
Che il passaggio non fosse indolore lo immaginavano tutti, che la contrazione dei liberi scambi tra paesi UE e il Regno Unito per via delle regole diventate meno chiare oltre che più rigide, lo temevano tutti, almeno sul breve periodo, eppure la cosa che ha colpito di più è che oltremanica cominciano addirittura a non voler neanche più sentire proprio la parola “Brexit”, come fosse il significato solo di isolamento e anche la tv di stato ha dovuto adeguare il proprio linguaggio. Forse più di qualcuno si sarà anche pentito della scelta fatta nel segreto dell’urna di quel famoso referendum.
Un costo enorme per il Regno Unito
Il Centre for European Reform, in una simulazione condotta di recente, stima che la Brexit stia costando al Regno Unito 12,9 miliardi di sterline, circa 15,3 miliardi di euro, in mancati scambi. La simulazione dello studio mostra che l’abbandono del mercato unico e dell’unione doganale avrebbe ridotto il commercio di Londra del 14,9 per cento: “Il confronto della recente performance commerciale del Regno Unito con quella delle altre economie avanzate suggerisce come la nostra nazione abbia assistito a un crollo delle esportazioni simile a quello di altri paesi all’inizio della pandemia, ma poi si sia lasciato in gran parte sfuggire la ripresa del commercio globale”. In dettaglio, i dati evidenziano un doppio crollo, prima durante la primavera/estate del 2020, in concomitanza con l’inizio della pandemia, e poi a gennaio di quest’anno, al primo mese vero della Brexit.
Le regole controproducenti
Tutte le ultime statistiche non possono che essere influenzate dalla pandemia e dalle ripercussioni che questa ha avuto sulle industrie con la mancanza di rifornimenti di materie prime per la chiusura anche totale di alcuni mercati, ma le conseguenze della Brexit comunque si fanno già sentire anche al di qua della Manica. Nonostante le restrizioni più severe sul lato europeo del confine, le importazioni di beni del Regno Unito dall’Ue sono diminuite di più (-18% nel quarto trimestre 2021) delle esportazioni di beni del Regno Unito nell’Ue (-9%). E’ come se le regole imposte sui controlli alle importazioni sarebbero da freno solo sul fronte interno limitando le esportazioni e non le importazioni, un vero e proprio effetto boomerang.
Una debolezza all’apparenza paradossale
L’aumento del prezzo delle importazioni di energia, in gran parte extra Ue, i cambiamenti nei flussi commerciali o delle merci che hanno sempre avuto origine al di fuori dell’Ue e che non transitano più attraverso l’Unione se dirette nel Regno Unito e, forse, anche l’aumento del costo-opportunità di esportare nel Regno Unito per le aziende europee, in termini di burocrazia e nuove difficoltà logistiche, ecco spiegata la debolezza “apparentemente paradossale” delle importazioni britanniche dall’Ue rispetto alle esportazioni verso l’Europa.
E tra i due litiganti in mezzo arriva l’EIRE
E di questo pasticcio legislativo-burocratico tra Regno Unito e UE ne sta approfittando a sorpresa l’Irlanda che, forte di accordi diretti con il governo Johnson, dal 2019 ha potuto godere di un percorso favorevole nell’import-export con i vicini di casa sfruttando le pastoie burocratiche delle aziende inglesi. Basti pensare che fino a luglio 2021 la Repubblica d’Irlanda ha registrato, per la prima volta dopo molti anni, 7 mesi consecutivi di surplus nel commercio di beni col Regno Unito. Addirittura l’EIRE, ha visto aumentare in maniera considerevole il traffico navale diretto di merci tra la Repubblica d’Irlanda e l’UE a discapito della Gran Bretagna. Praticamente le merci irlandesi destinate al continente ora non fanno più tappa nei porti britannici, ma vanno direttamente nell’UE.