La Mafia colpì lo Stato con un colpo durissimo. Giovanni Falcone, l’uomo che aveva organizzato il maxi processo contro i boss, venne ucciso con la sua scorta
Trent’anni fa l’Italia cambiò radicalmente. La strage di Capaci ha segnato uno dei momenti più tragici della storia del nostro Paese. La risposta più dura e cruenta della Mafia contro lo Stato. L’attacco e l’uccisione dell’uomo simbolo della Lotta a Cosa Nostra, avvenuta in un modo disumano, tragico e sotto gli occhi del mondo intero.
Sono passati trent’anni da quello che Gioacchino La Barbera, uno degli esecutori materiali, chiamerà “l’attentatuni”. Il momento in cui la Mafia ha deciso di chiudere i conti con l’uomo più rappresentativo del sentimento nazionale contro le cosche. Le sue inchieste sulla mafia e sui boss hanno cambiato la storia. E non soltanto quella giudiziaria. Falcone è l’uomo che, con l’apporto di decine di collaboratori a partire da Tommaso Buscetta, ha ricostruito la struttura militare e verticistica della mafia, ha individuato esecutori e mandanti della grande mattanza di Palermo, ha allargato le maglie delle relazioni tra Cosa nostra e il potere. Con Paolo Borsellino e gli altri componenti del pool di Antonino Caponnetto ha istruito il maxiprocesso e mandato a giudizio un esercito di 474 imputati.
Sono gli anni in cui la Mafia si insinua non solo in Sicilia, ma in tutta la Nazione, attraverso ramificazioni sostenute dal sangue. “Bisogna fare la guerra per fare poi la pace” è la strategia di Totò Riina. La mafia uccide. E tanto. Finiscono sotto i colpi di sanguinari attentati, i magistrati, giornalisti, investigatori, il presidente della Regione, Piersanti Mattarella (fratello dell’attuale Presidente della Repubblica), il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, il segretario regionale del Pci Pio La Torre promotore della legge che solo dopo la sua morte verrà approvata: codificherà il reato di associazione mafiosa e introdurrà il sequestro e la confisca dei beni. Ma Falcone riesce a chiudere il maxi processo e a portarlo fino in fondo. La sua più grande vittoria.
Il 23 maggio del 1992, Falcone è direttore degli affari penali del ministero della Giustizia: il posto più importante da dove vengono promosse tutte le linee dell’antimafia. E’ anche l’ideatore della Dna, la Procura antimafia nella quale non arriverà mai. Viene ucciso insieme alla moglie, alla sua scorta e prima di Paolo Borsellino, l’uomo con cui ha costruito il maxi processo. L’uomo al quale era legato dal destino. Ma il loro sacrificio non è stato e non sarà mai vano.