Un convegno organizzato alla Fondazione di Alleanza Nazionale dove sono intervenuti ospiti illustri destabilizza le piste nere
Per capire bene di cosa si è trattato, bisognerebbe partire dalla fine, soprattutto dagli interventi dello scrittore Francesco Rovella, vulcanico e polemico, e dal giornalista del Manifesto Andrea Colombo. Ma anche dalle parole della storica e brava ricercatrice Giordana Terracina che per venire a capo delle verità ha ricevute minacce. Per motivi diversi, loro tre hanno fornito idee, spunti e riflessioni su quello che le stragi in Italia hanno rappresentato, in particolar modo quelle di Milano e Brescia, ma soprattutto Bologna, dove, a distanza di anni, non fanno che venir fuori innocenti su innocenti. Come premetteva l’ex deputato Domenica Gramazio, che ha organizzato il convegno col patrocinio del periodico Realtà Nuova insieme al giornalista Sandro Forte, forse il titolo giusto della manifestazione non era tanto “Milano, Brescia, Bologna: quale verità storica sulle stragi, aggiungendo che non sarebbe stato male metterci un punto interrogativo ma che avrebbe potuto essere un altro, ovvero “quante verità sulle stragi”. C’era parecchio pubblico e c’era anche uno stretto collegamento con l’attualità, visto che il direttore del Riformista Piero Sansonetti, a proposito di stragi, ha richiamato l’attenzione sul ruolo che deve avere la comunicazione e si è scagliato con Report e l’ultimo servizio che dava responsabilità in qualche modo anche alla pista nera sulla strage di Capaci. “Ma come fa la Rai a mandare in onda un servizio sulle piste nere che la procura di Caltanissetta definisce un depistaggio e nessuno dice niente e se ne occupa. Una cosa assurda, voglio capire che rapporto che c’è tra i giornali e la ricerca della verità, non c’è più nessun rapporto. Non è possibile che il giornalismo non si sia interessato al fatto che la più grande strage compiuta nel nostro paese ha portato alla condanna di persone innocenti”.
Ma Sansonetti non si è fermato qui. Il direttore del Riformista ha affermato che per la strage di Bologna hanno condannato persone che sono vistosamente, legalmente e clamorosamente innocenti. Una cosa che dovrebbe fare indignare tutti in un paese civile, invece è come se nessuno avesse saputo o detto nulla a riguardo. “Perché il punto era la volontà di politicizzare le stragi – ha detto il direttore -, stabilendo che erano stati i fascisti a farle. Non si è cercato per ciascuna strage la verità. E poi basta con questa storia che le stragi hanno inquinato la battaglia politica e hanno impedito al Pci di andare al governo. Il Pci al governo non ci voleva andare…”. Applausi a scena aperta, ma applausi di persone che trovano corrette e giuste le idee di Sansonetti che, in realtà dice cose normali e sacrosante che ai più sembrano quasi delle novità: ma se una persona viene accusato, derisa e condannata, ma poi si rivela innovcente, in un paese civile e democratico si dovrebbe fare la battaglia al contrario come e più pesante di quelle che c’è stata quando tutti pensavano che fosse colpevole. E invece niente.
Minacce, verità giudiziarie e cercare la verità nel passato non per condannare ma per essere obiettivi nel presente e non sbagliare nel futuro
Oltre alle parole c’è anche una verità giudiziaria che la procura di Bologna, nonostante le prove non solide, difende con le unghie e con i denti. E a spiegarlo ci pensano Valerio Cutonilli e il perito Danilo Coppe, incalzati dalle domande del moderatore e direttore dell’Adn Kronos Gianmarco Chiocci. Cutonilli, ad esempio, durante il suo intervento ha mostrato alla gente presente una copia del fonogramma che allertava le questure italiane, venti giorni prima della strage, l’11 luglio, sulla possibilità di un attentato da parte del Fronte popolare di liberazione della Palestina. Un documento che è sempre esistito e che qualcuno ha ignorato (volutamente?). Eppure le indagini non presero mai quella direzione. Mai. Anzi,, come racconta e spiega Cutonilli, il questore di Bologna chiese, immediatamente dopo l’esplosione alla stazione, di indagare esclusivamente negli ambienti dell’estremismo di destra. “Curiosamente il fonogramma sull’allarme per il Fronte popolare della Palestina non arriva nei fascicoli dell’istruttoria bolognese. Noi lo scopriremo solo tre decenni dopo, non una cosa bellissima anzi…”.
Il perito Danilo Coppe, invece, ha sottolineato come la tesi della Procura di Bologna potesse fare acqua da tutte le parti grazie a tanti elementi. “Il quesito che mi fu posto dalla Corte d’Assise di Bologna – ha spiegato Coppe – era non solo legato a stabilire la natura dell’esplosivo usato alla stazione ma anche a trovare correlazioni con le altre stragi e ho avuto accesso agli atti che riguardavano tutto il periodo degli anni di piombo. Ebbene quasi tutte le perizie tecniche di quegli anni erano fortemente viziate da errori. L’idea che ci siamo fatti è che non c’è nessun filo conduttore nella metodologia costitutiva degli ordigni e poi ci siamo domandati perché in alcuni casi si trovava succo di mela e si riportava che era succo di pera. Viene da pensare male sotto l’aspetto di depistaggio, non ci sono dubbi, ma in realtà noi abbiamo più riscontrato degli errori macroscopici di metodo. Non c’è filo conduttore nella tipologia degli esplosivi”. Tutti elementi, inoltre, che emergono anche grazie al lavoro continuo e preciso svolto da ricercatori, scrittori, giornalisti e accademici. Una ricerca complessa e ostacolata in tutti i modi, come ha sottolineato la ricercatrice e storica Giordana Terracina, la quale, durante il suo lavoro che ha poi scritto in parte sul Riformista, ha rivelato di aver ricevuto minacce per essersi interessata al cosiddetto lodo Moro”: “Mi hanno detto che avevo un figlio e che avrei fatto bene a occuparmi di lui e di altro…”. Una rivelazione che ha lasciato tutti di stucco. ”Certe cose vengono completamente ignorate – ha aggiunto – come le risultanze che sono arrivate da Bologna, dove le quantità di esplosivo erano la metà, e quindi era possibile un bagaglio trasportabile anche da una donna. Oppure che la famosa Maria Fresu non era in realtà Maria Fresu (una delle vittime di Bologna di cui non si sa nulla a distanza di annia ndr). Insomma, c’erano tanti elementi che mi aspettavo avessero un’influenza maggiore, ma questo non c’è stato”. Affidate al giornalista del Manifesto Andrea Colombo le conclusioni dell’intero convegno: “Io vorrei stabilire la verità ma non per mandare in galera le persone che l’hanno fatto, anche perché probabilmente saranno anche morte, ma per correggere il passato, dare senso, vero senso al presente per poi non sbagliare più in futuro. E’ una materia complessa, incandescente, ma in fondo la prima cosa da fare è pretendere “che la magistratura cerchi la verità su Bologna. Negli anni Novanta è stato possibile, con il comitato ‘E se fossero innocenti’. Bisogna riprendere quel percorso”.