Una notizia che sconvolge la Cina: è stato pubblicato uno studio medico che conferma una pratica illegale e terrificante
Una pratica orribile. Una notizia che sconvolge il mondo medico e che riporta alla memoria alcune scene terrificanti di alcuni film e serie tv. Ricordate Squid Games? La fiction in cui un gruppo di persone svolgevano dei giochi di gruppo e chi perdeva veniva ucciso? Uno dei momenti più drammatici era legato all’esportazione degli organi: alcuni giocatori usciti sconfitti dalle prove, venivano sottoposti a trapianti, quando erano ancora in vita.
Dalla serie tv, si è passati alla realtà. In Cina ad alcuni detenuti condannati a morte, sarebbero stati esportati degli organi. Una pratica brutale, considerando che le persone che sarebbero state sottoposte al trapianto, non si trovavano in stato di morte cerebrale. I detenuti sono stati uccisi mediante l’espianto degli organi vitali: queste presunte pratiche illegali sono state denunciate da uno studio scientifico pubblicato due mesi fa con un numero limitato di casi documentati fino al 2015, ma il Wall Street Journal, che cita gli stessi autori di quel lavoro, lancia il sospetto che l’orrore – che Pechino nega con forza – sarebbe in realtà pratica corrente in Cina anche in tempi recenti.
Lo studio è stato realizzato dall’israeliano Jacob Lavee, chirurgo e direttore dei trapianti dell’ospedale Sheba Medical Center di Tel Aviv, e dall’australiano Matthew Robertson, esperto del Victims of Communism Memorial Foundation. La loro equipe ha analizzando oltre 125.000 pratiche di donazioni ed ha pubblicato tutto sulla rivista specializzata American Journal of Transplantation, esaminava 71 casi ufficiali di trapianti di organi. Analizzando i dati fra il 1980 e il 2015, i due ricercatori hanno concluso che i chirurghi cinesi hanno violato la regola internazionale sulle donazioni dopo la morte, che proibisce l’espianto gli organi vitali da una persona non dichiarata ufficialmente morta o in morte cerebrale oppure non consenziente. La violazione a questa regola nella ricerca è stata documentata per ben 71 volte in in un arco di tempo di 35 anni in 35 ospedali sparsi in 33 città di 15 province cinesi.
Secondo quanto dichiarato dal professor Lavee a Haaretz, si tratterebbe della “pistola fumante” sugli espianti illegali compiuti in Cina, fino ad allora sospettati e denunciati ma non suffragati da prove. Questi 71 casi in un lasso di tempo così lungo e in posti diversi – dice Lavee – “prova che non si tratta di casi isolati o temporanei. Deve essere una politica” cioè una pratica. “La Cina riconosce le regole sull’espianto dopo la morte, ma in diversi di questi cassi documentati non risulta abbia condotto i test necessari per verificare il decesso cerebrale. (…) In 71 documenti abbiamo trovato prove chiare ed inequivocabili che la morte cerebrale non è stata determinata prima che l’espianto degli organi avesse inizio”, ha continuato il medico israeliano. Molti di questi casi sono di condannati a morte. Secondo Lavee, “trapiantare organi da una persona sottoposta all’esecuzione il cui cervello è morto ma il cui cuore ancora batte, richiede un complesso e delicato coordinamento fra il boia e il chirurgo per mettere al sicuro l’organo. I documenti analizzati dallo studio mostrano che i medici cinesi hanno partecipato all’esecuzione per evitare di perdere l’organo per mancato coordinamento”.