Una tendenza che sta crescendo negli ultimi due anni in modo incredibile, si pensa che usando questa parola si dimostri inclusività
Un nome, una garanzia. Una pioggia nel nome e soprattutto con il nome dell’Italia. Per i partiti è una certezza. Un vero e proprio ingorgo a dire la verità, ma una “moda” che ormai ha preso piede e sta diventando sempre di più un’abitudine. Sarebbe il caso di dire “diluvio Italia”. Il nome Italia nelle liste delle ultime elezioni è cresciuto in maniera incredibile, con il nome della nostra nazione tirata di qui e di là. Il novero, come spiega il Tempo, conta ovviamente Forza Italia e Fratelli d’Italia, ma anche Italia al Centro (Toti e Quagliarello), Noi con l’Italia (Lupi), Italia Viva (Renzi). E volendo esser ancor più chirurgici, non vanno dimenticati Italexit per l’Italia (Paragone), componente del misto al Senato, e la rediviva Italia dei Valori tornata a sventolare il vessillo in coabitazione con altre forze sempre a Palazzo Madama. Una valanga tricolore che non è tratto esclusivo di oggi, ma segna una sorta di filone inaugurato nella Seconda Repubblica.
Lo racconta al Tempo Gabriele Maestri, curatore dell’aggiornatissimo sito “isimbolidelladiscordia.it“. Maestri è il maggiore studioso italiano di simboli e denominazioni dei partiti, assai esperto del racconto politico, storico e anche (spesso) legale nascosto in ogni logo che, nel corso degli anni, abbiamo trovato sulla scheda elettorale oppure solo sui giornali. Nella cosiddetta prima Repubblica, spiega, “in quasi tutte le denominazioni compariva l’aggettivo “italiano”, dunque non il termine “Italia”, ma il richiamo tricolore era presente solo in tre partiti: il Pci, con la bandiera rossa sovrapposta a quella italiana, il Pli, e il Msi con la fiamma“.
L’ultimo è Vinciamo Italia, attualmente ce ne sono sette che richiamano nel logo il nome del Belpaese
Poi però, prosegue Maestri, “dopo la discesa in campo di Berlusconi e la nascita di Forza Italia, c’è stata una corsa ad utilizzare la parola, non più abbinata alle ideologie. E trapelò persino che lo stesso Berlusconi, nel 2011, avesse in animo di liquidare l’allora Popolo della Libertà per sostituirlo con un movimento chiamato solo “Italia“, ma un’esclusiva su quel nome sarebbe stata problematica». Ecco quindi spiegato il fenomeno. L’argine rotto dalla nascita del berlusconismo e un dato formale che, come noto, ne nasconde uno di cultura e di sostanza: ossia la convinzione che citando la parola “Italia” nel nome si dimostri inclusività e la volontà di abbracciare la complessità del nostro Paese.
A quest’ ultimo novero va sicuramente assegnato “Italia Futura”, progetto che, nel 2013, segnò la quasi discesa in campo di Luca Cordero di Montezemolo. Poi non se ne fece nulla, e alcuni esponenti di quel contenitore furono candidati nelle liste di Scelta Civica, anch’ essa “per l’Italia”. Che poi sappiamo com’ è andata a finire. Peraltro, una delle realtà uscite dalla sua dissoluzione fu “Popolari per l’Italia” guidato da Mario Mauro. Ma nella scorsa legislatura non mancò neanche “Direzione Italia”, fondato dall’attuale eurodeputato di Fratelli d’Italia Raffaele Fitto, dopo l’uscita da Forza Italia. E poi ci sono quelle esperienze nate con grandi aspettative che poi hanno trovato maggiori difficoltà di radicamento, tanto che oggi i loro fondatori sono tornati alle occupazioni precedenti. È il caso di Italia Unica, movimento del banchiere Corrado Passera, che dopo l’esperienza nel governo Monti come ministro dello Sviluppo Economico non volle aderire al progetto del Senatore a vita ma creare un movimento proprio.