Matteo Renzi in Parlamento: meglio non scommettere contro di lui

di Matteo De Luca

Dopo la caduta di Draghi era stato dato per spacciato, ma tutti dovranno fare i conti con Matteo Renzi. E non commettere l’errore di sottovalutarlo

Era dato per estinto o in via d’estinzione, Matteo Renzi, come quelle specie di cui resta una foto sbiadita, o l’ipotesi di una carcassa sotto la teca in un Museo di Storia Naturale. Ci si ferma e si pensa a queste creature con un attimo di rimpianto. E dopo si passa oltre. Così si doveva fare con lui. Passare oltre senza rimpianti, dopo averlo dato per estinto o perso nella boscaglia dell’anonimato. Il destino di altri influenti personaggi, o presunti tali: la presidenza di una fondazione, un convegno ogni tanto, un’intervista da ex quando ci sono vuoti da riempire. E invece no. Se si pensa alle specie in pericolo qualcuno vede in lui un pinguino saltarocce e niente più, se non altro per quella sua tendenza a saltare da una taglia ad un’altra – inclinazione debolmente contrastata dai buoni propositi di jogging quotidiano. Propositi destinati a saltare, sempre, anche loro.

Ma taglie e promesse ballerine a parte, non si dovrebbe fare l’errore di scommettere sul venir meno della risolutezza, in un tipo come lui, che tra le varie caratteristiche strutturali ha quella della volontà. Una volontà anomala, così indefessa da apparire un puntiglio, una volontà che si compiace di esistere per dispetto o, almeno, per brindare al venir meno delle altre. Ecco, con un armamentario simile l’idea di vederlo sotto una teca prima di altri si rivela, inevitabilmente, un’illusione. Perché se è illusoria l’unica creatura a cui Matteo Renzi può realisticamente essere accostato, l’araba fenice, si rivela drammaticamente reale e indefessa la sua tenacia. Ed è questa la prima differenza, fra lui e gli altri. Ed è una differenza abissale.

Era stato dato per morto, dicevamo, all’indomani della débâcle di Mario Draghi, un epilogo grottesco dove gli avversari hanno lanciato il sasso nascondendo la mano, tutti simili nel mostrarsi diversi, così simili da potersi specchiare gli uni negli altri. E il primo a fare le spese del disastro altrui sarebbe stato proprio lui, Matteo Renzi, avevano detto, che di Draghi era stato il mentore.

Ma la dettatura del necrologio si è fermata dopo le prime battute, perché a qualcun altro è venuto meno il respiro. Per qualche giorno hanno visto Carlo Calenda attratto dalle correnti e destinato a cadere nella rete muffita di Letta, con Matteo dato per spacciato lì, in mezzo al guado, troppo orgoglioso, troppo consapevole di sé,  per fare da gregario incolore sulla sponda destra o quella sinistra. Il problema – per gli altri – era che Matteo non si trovava in mezzo al guado ma sulla riva del fiume, e attendeva. Ha contato i giorni, probabilmente, certo che non avrebbero superato la dita di una mano. E Calenda, che a dispetto della stazza tonno non è, ha fatto due conti proprio mentre Matteo contava. Ha passato due o tre notti insonni, e non per il caldo. Dopo, con un buon colpo di coda, si è divincolato.

Una pessima notizia per la sponda sinistra, forse anche per quella destra, chissà. Ma la morale, la morale vera di questo sciabordio d’acque di mezza estate, è che un certo Matteo Renzi rimane in gioco. Se la storia politica recente di questo Paese può ancora insegnarci qualcosa non conviene scommettere in una disfatta, e immaginare lui che guarda il Parlamento dalla strada. Il giocatore di poker si aggira nei paraggi, capace di valorizzare le proprie carte come nessun altro lì dentro. E’ così abile che la resa di Calenda al canto geriatrico delle sirene sulla sponda sinistra e il suo divincolarsi nel breve volger di poche ore sembra uno scherzo pensato e pianificato da chi ha nella tasca l’asso del proprio intuito.

L’intuito è – e rimane – l’albero di una piccola imbarcazione e di una ciurma che, a dispetto delle modeste dimensioni, è riuscita a cambiare la sorte dell’Esecutivo per almeno due volte. Se il giocatore di poker riesce ad entrare ci sarà da divertirsi. Dategli il tempo di calare la fune dal cavallo di legno. E agli altri, quelli che ora cantano, non resterà che preoccuparsi.

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