Le sanzioni stanno funzionando oppure no? L’analisi del responsabile del Desk Russia del Centro Studi Internazionali
Le sanzioni imposte alla Russia stanno funzionando oppure no? I problemi economici che Mosca sta affrontando sono più pesanti di quelli che l’Europa sarà chiamata a superare nel prossimo inverno? Quanto durerà ancora questa partita. Ecco l’analisi di Marco Di Liddo, responsabile dell’Area Geopolitica e Analista responsabile del Desk Russia e Balcani presso il Ce. S.I. – Centro Studi Internazionali.
“Se noi ci aspettiamo che le sanzioni imposte alla Russia producano un effetto immediato, siamo sulla strada sbagliata. Per come sono state strutturate le sanzioni, l’obiettivo è triplice: impedire il finanziamento alla guerra in Ucraina, indebolire l’economia russa e creare una spaccatura tra popolazione e sistema di potere. E poi c’è un livello superiore: pensare ad un futuro economico europeo diverso da quello che abbiamo avuto fino ad oggi e nel quale la Russia era la principale fornitrice di energia e materie prime”
Le sanzioni hanno prodotto questi effetti?
“L’economia russa è in sofferenza, perchè sta venendo meno il suo partner principale e finanziario. E lo switch verso l’Asia è un processo che si può fare, ma che richiede tempo. Almeno una decina di anni. Le sanzioni nel medio-lungo periodo produrranno effetti molto pesanti alla politica russa. Il problema è un altro”.
Quale?
“Produrre effetti pesanti all’economia, non è detto che si traduca in una dissuasione politica. Non parliamo infatti solo dell’aspetto economico, ma anche di una variabile sociale. Di come le sanzioni impattano sulla società e sul sistema di potere. Al momento, questo impatto non è così profondo e devastante. Siamo in un momento in cui l’adattamento dei mercati energetici fa in modo che, nonostante il calo delle vendite, gli introiti per la Russia restano importanti, seppur inferiori rispetto al passato”.
Il rischio quindi è che le sanzioni danneggino l’economia, ma siano ammortizzate senza troppi problemi?
“Dal lato sociale bisogna chiedersi: quanto la società russa resisterà alle privazioni e ai costi di questa guerra? Tutti i regimi che sono stati pesantemente sanzionati al mondo, ad esempio Corea del Nord e Iran, ancora vedono resistere i loro sistemi di potere. La dinastia dei Kim in Corea e gli Ayatollah in Iran sono vive e vegete”.
Bisogna rivedere quindi lo strumento delle sanzioni?
“Bisogna valutarne il differente impatto. L’Europa con le sanzioni sta giocando una partita i cui risultati si svilupperanno più in la nel tempo, in un arco temporale più profondo. Ma bisogna verificare gli effetti boomerang delle sanzioni e rapportarli alla gara che sta giocando Mosca, che è su un periodo più lungo. Lo scopo di Putin è semplice: interrompendo i flussi di gas, in risposta alle sanzioni, cerca di lanciare un assalto speculativo sull’Occidente, sperando che le loro economie soffrano così tanto, da spingerli a trattare sull’Ucraina”.
Ci sta riuscendo?
“E’ palese che stia accadendo. Le forniture energetiche non si sostituiscono così facilmente: bisogna pensare al presente, ma anche all’inverno che sta arrivando. La chiusura dei flussi di gas sono un grave problema per i paesi europei. E va ad interrompere quel timido percorso di crescita economica che era iniziato con la fine della pandemia. L’arma migliore che hanno i russi è il ricatto energetico”.
E gli stati europei sono in grado di superare questo ricatto?
“Non è l’unico problema. Anche in questo caso oltre all’aspetto economico ce n’è uno di carattere sociale. Faccio un esempio: quando si analizza il mercato, uno degli indicatori è il market conference, che ti spiega il grado di fiducia del mercato. Se esistesse anche un indice di fiducia dell’elettorato, in Italia, in Germania e in Francia sarebbe molto fragile. Oltre alla capacità di resistenza delle varie economie, bisogna verificare quanta fiducia nel Governo c’è da parte dell’elettorato”.
Come finirà questa partita?
“Difficile dirlo. Putin spera in una cosa: che molti occidentali, di fronte a bollette salatissime, ad aziende che chiudono o che rischiamo il default, preferiscano salvare loro stessi, piuttosto che pensare al futuro dell’Ucraina. Che l’interesse personale sia più forte di quello morale. E’ umano pensare che anche se con il cuore insanguinato, molti sperino di salvare le proprie famiglie”.